Seminario a tema
“ICF nella scuola, nella formazione e nel lavoro”

 

Andrea Canevaro - Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna

"La coevoluzione coinvolge gli adulti anche attraverso gli strumenti ausiliari. E l'ICF puO' servire..."


Propongo di esaminare la logica dell'ICF pensando la complessità dello strumento può a volte non permettere di capire bene la logica che lo sottende. I tanti items che lo compongono rischiano di perdersi in tanta materia interessantissima, se non vengono collocati in una struttura logica. Come gruppo eravamo in qualche modo predisposti all'ICF, probabilmente per la ragione che aveva preceduto e accompagnato la legge 68, che, essendo uscita tre anni prima dell'ICF, in qualche modo lo auspicava; così come dovremmo per le nostre orecchie non sentirci totalmente spaesati con l'ICF se non per l'acronimo che non è traducibile. In Francia e in Spagna, parlano di CIF perché sono più capaci di liberarsi delle sudditanze linguistiche e se noi dovessimo usare un acronimo significativo anche per noi dovremmo dire anche noi CIF per indicare Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e della disabilità. 

La logica ICF o CIF era già presente in qualche modo nel nostro panorama perché la diagnosi funzionale avrebbe dovuto già indicarci una prospettiva analoga, tale da non farci sorprendere.

Chi, avendo una professione nel settore sociale, educativo e sanitario, reagisse all'ICF pensando o dicendo "ma che diavolo è questo?", dovrebbe riconoscere di avere forse disatteso, forse non capito cosa dicevano coloro che parlavano di diagnosi funzionale e come veniva applicavate, perché la funzione e il funzionamento sono elementi fondamentali. 

Inserisco questa logica nel breve quadro dei bisogni individuali che non sono chiusi nell'individuo perché contengono comunicazione, linguaggio, appartenenza, vincoli di appartenenza che significa che quando si appartiene bisogna anche in qualche modo seguire delle regole della stessa appartenenza, e non si può pensare che l'appartenenza sia senza vincoli, senza regole. Le cure ricorsive sono parte di tali vincoli: consistono nel lavarsi la faccia tutti i giorni, rifare il letto tutti i giorni; sono quelle attività che si dovrebbero fare, e ci auguriamo di poterle fare, di avere la forza di farle, per tutta la vita. Sono quelle attività che non hanno la linea ascendente così cara a un modo di recepire la vita per cui alcune cose si devono fare, ma poi si devono abbandonare per diventare sempre più importanti e dedicarsi solo alle cose importanti. Non succede così, il letto non impara a rifarsi da solo, e bisogna continuare a farlo tutti i giorni che dormiamo. Il controllo è altro elemento dei vincoli di appartenenza: vuol dire controllarsi e controllare. 

Questi bisogni individuali, letti in questa maniera, fanno capire la dimensione sociale di aspetti individuali; bisogni individuali e sociali si rincorrono, sono un intreccio continuo. Il controllo ha bisogno di una organizzazione: abbiamo bisogno di segmentare, di capire le cose anche nel loro spettro, e non solo in una parola; hanno bisogno di essere collegate a tempo e spazio. Le procedure confuse rischiano di perderci, di confonderci se non costruiamo individualmente, ma sempre con una dimensione sociale delle procedure organizzative, per trattenere la memoria su alcune cose e farle diventare… rituali della quotidianità

Sui rituali della quotidianità è importante insistere e capirsi. Non si tratta di rituali di regime, di parate e gagliardetti. Si tratta, si potrebbe dire con Giovanna Axia, dell'elogio della cortesia: le consuetudini che permettono di segnalare quando si comincia la giornata, dicendosi buongiorno al mattino, salutandosi quando si chiude la giornata, quando si comincia un'attività…. Sono i rituali della quotidianità che non sono mai solo parole, ma anche un modo di stare, un modo di sedersi; e che in una società dei mediatori, e in un progetto di società dei mediatori per le differenze, possono essere davvero molto importanti. Chi viene da un'altra cultura o da un altro paese potrebbe non capire esattamente i contenuti dei messaggi formalizzati, ma li capisce meglio se ha cornici di rituali quotidiani che vede applicati dagli altri e quindi, un po' per imitazione un po' perché oltre al rituale c'è un seguito che fa capire cosa succede, si orienta meglio, distribuisce meglio le energie. Ragionando su comportamenti aggressivi di chi cresce, ma anche di chi è già cresciuto, riteniamo che molte volte sia per la mancanza di possibilità di controllare il tempo. Una persona ritiene di non poterne più; se avesse modo di controllare il tempo potrebbe capire che basta aspettare pochi minuti e c'è una possibilità di essere liberi dall'impegno di quel momento. 

A scuola la questione della possibilità di avere un controllo del tempo è quanto mai importante e l'ho capito abbastanza bene quando in una classe delle maestre mi dicevano che i bambini, essendo già dopo Natale, non avevano imparato a stare seduti neanche mezz'ora. Ho voluto dedicare un po' di attenzione ai bambini per capire se quell'espressione che era stata detta così per dire, era letteralmente comprensibile da loro. Quell'anno quei bambini avevano della mezz'ora una conoscenza legata a un certo cartone animato che durava mezz'ora, ma che non era presente nelle attività scolastiche per cui per loro la mezz'ora era un termine incontrollabile. E' nata un'attività: una costruzione di orologi, ma più che orologi con le rotelle, di orologi con la sabbia, con l'acqua, con tanti sistemi di organizzazione di controllo del tempo che strutturano anche i compiti nella classe perché bisogna che qualcuno poi giri la clessidra, un altro segnali quante clessidre sono passate e questo comincia a delineare un organizzazione di un gruppo che non è più un mucchio comincia ad essere una comunità organizzata'…. 

Nell'ICF troviamo le parentele con diagnosi funzionale, profilo dinamico funzionale, progetto educativo individualizzato, terminologie orientate verso il progetto di vita, e che finivano per essere autoreferenziali per lo svolgimento delle attività scolastiche, senza pensare che bisogna andare oltre. Per es., si può valutare in molti modi. Si può dire: siccome abbiamo una persona che non ha una possibilità di parola, facciamo delle domande con logica binaria (sì e no) e controlliamo se ha imparato giusto. E' uno studio serio fatto senza demagogia, non si regala niente però si ferma lì, e se viene fatto solo così non abbiamo la possibilità che quella persona sviluppi una competenza sociale adatta ad uscire dalla scuola. Forse bisognerebbe cominciare da quell'andamento a crocette che può produrre qualcosa di diverso. 

La logica dell'ICF è legata al progetto di vita. Innanzitutto si lavora insieme e non su. E questo è molto importante, perché ci sia un progetto che vada oltre. Nella logica dell'ICF annoto il passaggio dal contesto ai contesti: questo a me sembra molto importante perché significa anche capire che ci sono, nella prima parola nella F di funzionamento, o meglio funzionamenti legati a contesti diversi o a possibilità di rendere diversa l'organizzazione del contesto. Per chi vede incontrarsi in una sala senza accendere la luce dà delle possibilità di rendimento perché il contesto è in certe condizioni; cosa diversa è accendere la luce e organizzare il contesto un po' diverso da come era. C'è chi si comporta benissimo anche se non c'è luce, chi si comporta non altrettanto bene se non c'è la luce. Il nostro rendimento è legato anche, non solo, ai contesti differenti logisticamente, ma anche all'introduzione nello stesso contesto di elementi organizzativi diversi. E questo forse nello sfondo, nel contesto in cui siamo - handimatica - qualche relazione ce l'ha. 

Dal contesto ai contesti porta come conseguenza la pluralità delle fonti autorevoli. Il termine autorevole permette di individuare fonti autorevoli dove forse non siamo abituati a vedere l'autorevolezza. Per es. i coetanei: possono essere fonte autorevole. Si tratta di saper dialogare bene. Bisogna avere un po' di professionalità per stare con delle persone che crescono. Si può scoprire che le prime risposte sono scimmiottature televisive, compassioni dettate da necessità di far capire che nei confronti del compagno o della compagna disabile c'è un trasporto, una benevolenza ecc. Bisogna andare un po' oltre anche capire le scomodità, le cose che sono scomode e che permettono di capire anche come riorganizzare il contesto, come in un altro modo di percepire il contesto, ci siano dei miglioramenti reciproci - importanza della reciprocità -. 

Un'altra caratteristica importante riguarda la discontinuità positiva. Siamo abituati a pensare che ci debba essere un giudizio, che chiamiamo diagnosi, che viene a sancire chi ha ragione, per cui quando ci sono delle situazioni in cui non c'è accordo su un giudizio valutativo unico (chi dice una cosa, c'è chi ne dice un'altra) riteniamo che occorra far riferimento alla professione più autorevole. Chi ha ragione? Com'è questo soggetto? ce lo dice la professione più autorevole. Questo è tradire la logica dell'ICF che invece apre la possibilità che una persona abbia un'identità plurale: abbia una pluralità di atteggiamenti differenti a seconda dei contesti, delle persone che sono nei contesti ecc. 

Serenella Besio ci ha segnalato gli errori. E' chiaro che ci sono anche gli errori di valutazione. Ma credo che sia cosa diversa da quello che sto dicendo io. 

BESIO: In realtà il nostro caso è estremamente ristretto alla valutazione di queste voci di ICF, quindi il nostro ambito è estremamente ridotto, non è per niente legato a un discorso così globale come quello che stai affrontando tu, la globalità noi poi la recuperiamo a livello del discorso di gruppo, nel confronto di gruppo intorno alle occasioni, alle ragioni per cui abbiamo scelto queste valutazioni. Ci mancherebbe, certo. 

Siamo in una fase formativa. Valutazioni troppo alte probabilmente derivano da un atteggiamento che è molto diffuso di pensare: se c'è una persona disabile bisogna in qualche modo risarcirla con un atteggiamento di benevolenza. Che sia un modo di fare il suo bene è molto discutibile. 

Per discontinuità positiva bisogna andare un po' più a fondo. Ma bisogna non appesantire negli operatori le mansioni, compiti che sono extradidattici; soprattutto parlo della scuola, ma anche per il lavoro. Ogni appesantimento che significa tabella da compilare e attività burocratiche da fare "dopo", raddoppiando il tempo del lavoro, funzionerà male. Abbiamo molti esempi di situazioni in cui tutto appare in ordine sul piano formale: il POF, il PEI… Ma vivendo un'ora il clima di una classe, ci si domanda se era tutto finto. Quello che hanno scritto, compilato e messo in ordine ti dà un indicatore di qualità eccellente, ma non corrisponde affatto alla realtà in classe. Bisogna stare attenti a costruire anche delle pratiche che permettano a chi è operatore, al tutor aziendale, per uscire un po' dall'ambiente scolastico, di fare il suo mestiere. Se aumentiamo le attività che sono un ufficio ulteriore dopo un altro, creeremmo più confusione. 

Con la discontinuità positiva bisogna che stiamo attenti a non correre il rischio che qualcuno vada a tirare delle conclusioni micidiali per la proposta inclusiva: avendo stabilito che in un contesto un certo soggetto sta meglio che non in altri contesti, ce lo chiuda dentro, lo metta nel recinto dicendo "ma siccome sta così bene lì è inutile che vada a star male altrove". No, non funziona. 

Dobbiamo tutti poter avere le occasioni in cui la nostra migliore capacità di essere viva accanto alle altre in cui siamo meno favoriti e dobbiamo curare le strutture connettive: possibilità di autostima che permette di migliorare le proprie capacità, i propri rendimenti anche laddove siamo più deboli. Le concessioni e le chiusure realizzano delle posizioni assistenziali e l'assistenzialismo è l'esatto contrario della logica dell'ICF. 

Con le parole buone prassi che sono così apparentemente chiare da essere travisabili, si fa confusione con i buoni esempi, con le buone azioni, e non con un'azione, come si dice, di sistema. Una buona prassi è un'organizzazione complessa, matura, che va bene nel tempo. E quindi si riprendono alcune questioni relative alle procedure inclusive che siano normalmente e non acrobaticamente riproducibili. E' chiaro che ci sono delle situazioni che hanno una loro storicità e scuotere le storicità, agitarle in maniera un po' volontaristica, può creare più scompensi che non benefici. Per es. per alcune situazioni individuali ci sono delle chiare discontinuità tra i comportamenti in famiglia, dove un soggetto, magari ha già compiuti i trent'anni, è assistito come se ne avesse ancora 14 e fuori, a lavorare, riesce ad essere invece un adulto. Un'azione un po' violenta nei confronti di una famiglia che non ha sedimentato una dinamica produttiva, rischia di essere percepita come una pressione e basta. Quante sono le famiglie che chiudono i rapporti con i servizi perché i servizi hanno preteso che la crescita avvenisse in un giorno…Appare un operatore e dice "tu devi smetterla di…", "lei deve fare…". Non è tanto facile questo. In questo senso gli ausili sono di grande interesse, perché hanno una funzione come di capro espiatorio paradossale, nel senso che non c'erano quando dovevano esserci Finalmente sono arrivati.

Operare dei cambiamenti nelle abitudini di quotidianità nei diversi contesti non è facile se si fa leva unicamente sul dovere, sulla raccomandazione o su una norma di legge. Non funziona così. Se entra un oggetto mediatore, e gli ausili possono esserlo, si attribuisce il cambiamento, e il mancato cambiamento precedente, al fatto che mancava l'oggetto: la colpa non era nostra. 

I cambiamenti possono fare entrare un elemento in più e l'ICF lo favorisce perché fa entrare in una combinazione coevolutiva degli oggetti che sono appunto l'organizzazione dei contesti. 

L'analisi evolutiva è legata ai bisogni, alle risorse, ai processi di compatibilità, al fatto che bisogna creare delle situazioni in cui gli elementi innovativi non annullino tutte le competenze, le qualità che un certo gruppo, familiare o non familiare, può avere. E la stessa cose avviene anche per il lavoro. Prima dell'ingresso di una persona disabile (legge 68) bisogna riorganizzare tutto il quadro del lavoro. Non può riuscire se non in termini rari, perché è chiaro che bisogna studiare com'è organizzato il lavoro, permettere che mantenga la sua organizzazione con quei cambiamenti incompatibili. 

Si tratta anche di realizzare qualche cosa che ha un padre, Paulo Freire: una coscientizzazione. Se uno non conosce bene come è nato questo termine lo pensa come una specie di etere che svapora. Coscientizzazione significa praticare l'empowerment cioè una possibilità di agganciare i suggerimenti alle qualità che già sono presenti in un contesto, in una persona. Le qualità bisogna scoprirle. Da vecchio scout dico, secondo le regole di Baden Powell "in ogni persona c'è almeno un 5% di elementi validi che bastano per farla funzionare".

Note bibliografiche.
G: AXIA (2005), Elogio della cortesia. L'attenzione per gli altri come forma di intelligenza, Bologna, Il Mulino.

 

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