Laboratorio
“Comunicazione e sistemi simbolici: contesti e bisogni educativi”

 

Ezio Bettinelli intervistato da Giovanni Fronticelli


G. Fronticelli 
Buonasera a tutti. Come sapete adesso dovrebbe seguire un'intervista a Ezio che si è dichiarato disponibile a farsi intervistare. Dato che come diceva anche Gabriella e come diremo poi anche successivamente, le modalità di comunicazione aumentative comunque non riescono a compensare in maniera definitiva l'assenza di linguaggio, sono caratterizzate comunque dalla lentezza e un'intervista a Ezio avrebbe portato via molto, molto tempo per cui abbiamo scelto di fargli alcune domande a cui ha risposto in forma scritta per cui lo intervisterò e lui ci risponderà con delle slide di powerpoint che ha preparato e successivamente invece l'intervista si svolgerà in maniera più libera con domande a cui risponderà in diretta Ezio.

La prima domanda che avevo fatto è: 
"Ezio, hai voglia di raccontarci qualcosa di te, del lavoro che fai delle tue passioni?"

E.B.
Ho 43 anni, Attualmente sto lavorando, come inserimento lavorativo a 300 € al mese (che goduria), presso lo sportello handicap dell'ULSS 19 di Adria (RO) operatore informatico; il mio lavoro consiste nel ricercare le informazioni e darle agli utenti finali.
Sono membro del Consiglio Direttivo ISAAC Italia. L'esperienza dentro al consiglio direttivo ISAAC si sta rivelando molto importante e di crescita personale. Vorrei portare avanti il discorso di coinvolgimento delle persone CAA nei propri problemi e cercare di trovare delle soluzioni assieme; in tal senso io auspico un forte coinvolgimento di persone CAA anche al livello decisionale nell'ISAAC Italy. Credo uno dei compiti principali dell'ISAAC Italy sia quello di sperimentare quotidianamente i problemi delle persone CAA, solo così si potrà diffondere la cultura della comunicazione aumentativa ed alternativa.
Mi piace molto viaggiare, leggo molto; amo molto la mia autonomia in tutti i sensi (decisionale, movimento ecc..); adoro le donne. Nessuno deve toccare la mia libertà.

G.F.
"Ti andrebbe di raccontarci qualcosa degli anni universitari e di come hai fatto a laurearti?"

E.B.
Ho un ottimo ricordo degli anni universitari soprattutto di conoscenza della propria persona. Ho sempre trovato dei professori molto comprensivi che si sono sempre adattati all'evoluzione dei miei ausili: dalla macchina per scrivere che usavo con il baschetto funzionale all'etran. 
Ho sempre contato sugli amici per sostenere gli esami; loro andavano sempre a parlare con i professori prima di sostenere ogni esame. Studiavo a casa da solo con una matita per sottolineare le cose più importante; non c'erano le nuove tecnologie con Internet e l'e-mail, per cui le cose dovevo capirle da solo, era faticoso ma è stato molto istruttivo per me.

G.F.
"Ora ci spieghi meglio quando e come hai imparato a comunicare attraverso la scrittura?"

E.B. 
In seconda media è avvenuto un fatto importante: la macchina da scrivere che usavo con un cartoncino messo in mezzo a una fila di tasti facendo scivolare il mio dito sul cartoncino andavo a battere il tasto desiderato. Con la macchina da scrivere ho incominciato a scrivere delle cose personali: poesie, sensazioni, lettere ecc.; ma soprattutto ho cominciato a dialogare con gli insegnanti.
Ma il culmine è stato alle scuole superiori quando sono entrati in gioco alcuni ausili come il casco funzionale combinato con la macchina elettrica che poi si sarebbe trasformata in computer.

G.B.
"Riesci a ricordarti nel periodo della tua infanzia precedente all'apprendimento della scrittura se e come riuscivi a comunicare con i tuoi famigliari?"

E.B.
Innanzitutto un lungo periodo della mia infanzia l'ho passato in istituto dove la comunicazione era estremamente difficile, non andava più in là delle domande a risposta chiusa: sì o no, ti piace o non ti piace ecc.; quando ero fortunato di trovare una persona disposta a comprendere soprattutto il mio sguardo allora c'era un barlume di comunicazione, ma sempre molto difficile perché avveniva attraverso un elenco di risposte plausibili riguardante un certo argomento in cui io dovevo far capire, sempre attraverso lo sguardo, quella giusta. Per i bisogni essenziali come mangiare, bere, bisogni fisici indicavo l'oggetto corrispondente con lo sguardo: piatto, tavolo, aprire la bocca, le parti intime per andare al gabinetto ecc..
Con i familiari la comunicazione era un po' più facile perché comprendevano bene i miei sguardi e i miei gesti, ma era sempre faticoso farmi comprendere specialmente se l'argomento era complesso.

G.F. 
"Rifacendoti alla tua esperienza quali consigli ti vengono in mente da dare a genitori di bambini piccoli con problemi simili ai tuoi?"

E.B. 
Ai genitori dico d'ascoltare i propri figli anche se hanno la sensazione del silenzio, ma questo silenzio può fare il rumore di mille voci. I genitori devono parlare con i propri figli anche dei problemi familiari; si devono portare fuori, al ristorante, al cinema, parlate in mezzo alla gente ecc.; è questo far crescere l'autostima in se stessi che stimola la comunicazione.

G.F. 
"Riesci a ricordare strategie o modi di fare che secondo te ti avrebbero aiutato e che non venivano attivati? "

E.B.
Mi avrebbero aiutato gli ausili che ci sono adesso, ma anche forse un po' l'inventiva delle persone che lavoravano con me specialmente in istituto. Non oso pensare se ci fossero stati i linguaggi alternativi come Bliss o altri, dove avrei potuto arrivare.

G.F. 
"Ti ricordi come hai fatto a imparare a leggere e scrivere, oppure come ti hanno insegnato?"

E.B. 
L'apprendimento della scrittura e della lettura è stata una lenta evoluzione che ha avuto il culmine alle scuole superiori quando sono entrati in gioco alcuni ausili come il casco funzionale combinato con la macchina elettrica che poi si sarebbe trasformata in computer. Un po' difficile è stato l'apprendimento della lettura; ricordo che alle medie mia madre mi aiutava a leggere-studiare ed io memorizzavo tutto, il bello è che riuscivo a dare le risposte giuste agli insegnanti. Poi un giorno, alle superiori, è scattato un meccanismo dentro al cervello per cui ero in grado di leggere e studiare da solo ma soprattutto riuscivo comprendere il significato delle parole; come se sentissi la voce delle parole lette dentro alla testa. Dal quel giorno tutto è diventato più facile, anche la scrittura che fino a quel momento era un po' automatica, una specie di magia per cui riuscivo a scrivere quasi tutto anche con senso compiuto ma non me la sentivo dentro.

G.F. 
"Quali insegnamenti ti sono serviti e quali no? Come facevano a insegnarti i ragazzi che venivano da fuori, ti piacerebbe parlarne di più?"

E.B. 
La scrittura magica me l'hanno insegnato i ragazzi che venivano a trovarmi in istituto attraverso dei piccoli articoli per un giornalino; non so come sia riuscito a scriverli, resta un mistero. Ero bravo nel disegno e far di conto. Gli insegnanti in istituto non era adeguati alle mie esigenze comunicative, e soprattutto rivolgevano le attenzioni agli alunni che venivano da fuori rispetto a quelli interni.

G.F. 
"Tempi e modalità di apprendimento del codice alfabetico, comunicazione e codice alfabetico (forse la conquista del codice non risolve del tutto, cosa mi sai dire in proposito?)"

E.B
La conquista di un codice è influenzato da molti fattori; psici-fsici, ambientali, modalità di insegnamento-apprendimento. Bisogna partire dal bambino e non dal codice; bisogno lavorare con lui rispettando i suoi tempi di sviluppo soprattutto mentali, dosando gli stimoli, sempre immerso nel quotidiano, in modo da far crescere in loro l'autostima, è questo il fulcro per poter sperare che apprenda un codice per comunicare ed eventualmente il codice alfabetico; il bambino ha bisogno di essere considerato come un bambino e non solo come un disabile da guarire.

G.F. 
"Mi è sembrato molto molto interessante quello che mi hai scritto quando descrivevi una attività di scrittura, se ho capito bene non saldata con il tuo pensiero, differente dal momento in cui ti si è accesa una luce e la scrittura è diventata una modalità espressiva (ti sembrava che fossero parole dette). Se ho capito bene questo sarebbe un esempio chiaro della differenza fra apprendimento e comunicazione. Ho avuto diversi ragazzi che hanno imparato a scrivere e che lo facevano a scuola per gli insegnanti, ma che non la usavano affatto per comunicare realmente."

E.B. 
E' essenziale che il bambino inizi a comunicare in qualsiasi modo, sta poi a chi lavora con lui capire il codice di comunicazione più adatto ai suoi bisogni comunicativi in quel momento, mai imporre un codice di comunicazione ad un bambino soprattutto se va al di la del suo sviluppo mentale.
L'apprendimento del codice alfabetico è molto più difficile rispetto ad un bambino normale. Le maestre fanno leggere a voce alta bambini proprio per "saldare" nel pensiero le parole lette, un bambino "CAA" questo non lo può fare, lui deve imparare a "sentire" le parole dentro; questa difficoltà lo porta a commettere errori nella scrittura (ortografia e grammaticali); gli insegnanti me lo riprovano spesso. C'è da dire che la lingua italiana è molto bella ma molto ostica, molto complessa, piena di infinite regole ortografiche e grammaticali che rende un po' complicato apprenderla, almeno che non ci ritroviamo di fronte a un disabile genio.

G.F. 
"Una altra cosa che mi incuriosisce è che mi sembra che tu riesca a esprimerti meglio per e-mail che non con l'etran: mi sbaglio o è vero? Se è vero ho pensato che sarebbe importante approfondire il tema dell'autonomia consentita da un ausilio e del suo impatto sulla libertà di pensiero e parola, oltre che il tema della velocità di trasmissione della comunicazione (nel faccia a faccia forse i tempi contingentati ti costringono a essere più sintetico."

E.B. 
Sì, è vero riesco ad esprimermi meglio via e-mail, ho più tempo per pensare. I tempi pensiero-parola si sono allungati; invece con l'etran devo essere molto sintetico. I tempi pensiero-parola sono molto ristretti per tenere vivo l'interesse del mio interlocutore. Io ho trovato degli interlocutori che non avevano mai visto un etran ma avevano una gran disponibilità soprattutto ad ascoltare, invece degli interlucori che erano degli intellettuali della disabilità, ma non avevano nessuna disponibilità soprattutto ad ascoltare.

G.F. 
"Altro tema che mi sembrerebbe importante affrontare è quello del comportamento dei parlanti: potresti dire qualcosa tipo decalogo delle cose da non fare. E' importante perché insegnanti e genitori spesso pensano che la CAA sia solo un problema del disabile e non si rendono conto che anche il ragazzino più in gamba e più bravo se gli interlocutori non si adattano a lui non può avere spazio per comunicare."

E.B. 
Decalogo:
Non sentirsi superiore alla persona "CAA"
Non trattare come degli imbecilli le persone CAA
Fare partecipare sempre la persona CAA ad un discorso, o ad un dibattito, non fare finta che non ci sia.
Non sputare pregiudizi a prima vista, ma avere il coraggio e la disponibilità di conoscere.

 

Domande del pubblico.

D. 
"Ho avuto un ragazzo come Ezio in classe e ho avuto l'impressione che fin quando si trattava di rispondere a quesiti di tipo didattico riferiti all'apprendimento il ragazzo rispondeva e partecipava, quando invece si trattava di questioni personali quindi di comunicazione "reale" il ragazzo si trovava in difficoltà. Chiedo un parere su questa cosa."

E.B. 
Lei parla con un estraneo dei suoi sentimenti intimi?

D. 
"Anche tu sei fra quelli che preferisce uno strumento di scrittura senza voce rispetto a uno con la voce perché comunque lo strumento con una voce non è la tua voce?"

E.B.
Dipende dalle situazioni.

 

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