Seminario a tema
“Interventi e finanziamenti pubblici per gli ausili tecnologici: cosa sta cambiando?”

 

Pietro Barbieri - FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap)

"Gli ausili tecnologici in risposta ai bisogni di autonomia."


Sono qui a coordinare questo nostro convegno-seminario che si intitola "Interventi e finanziamenti pubblici per gli ausili tecnologici: cosa sta cambiando?". Al nostro tavolo abbiamo Roberto Da Dalt del comitato Progetto INDIRE, Carlo Giacobini responsabile di Handilex, Claudio Bitelli del GLIC, Giulio Vaccari di Assoausili e Luigi Mazza dell'Assessorato Politiche Sociali dell'Emilia Romagna. Non è presente Francesco Bottiglieri del Ministero della Salute in virtù del fatto che il Ministero in questa fase, a cavallo della discussione della finanziaria, è in fase di elaborazione del programma, del progetto di riforma del nomenclatore tariffario e di altri livelli essenziali di assistenza per cui il ministero non ha ritenuto opportuno in questo momento presentare il processo su cui si sta lavorando e che è in opera in questo momento. Quindi non avremo nessun interlocutore per il Ministero della Salute, questo ci dispiace alquanto e per quanto a nostra conoscenza è stato fatto di tutto perché fosse presente, non vorrei con questo ingenerare polemiche nei confronti del Ministero. Questioni tecniche di queste ore, come è noto ai più il ministro della salute è anche senatrice e la finanziaria è in Senato e conseguentemente ha assai poco tempo per curare tutti gli aspetti politici che riguardano il Ministero.

Al termine delle relazioni avremo un dibattito che sarà coordinato da Carlo Giacobini perché purtroppo io sarò costretto a lasciare per un treno che mi riporta verso Roma.

Per introdurre il dibattito di oggi cercherò di fare una piccolissima riflessione su qual è il quadro nazionale e internazionale nel quale ci muoviamo e sulle ragioni che ci portano a pensare agli ausili tecnologici quale elemento, quale mezzo fondamentale nella vita delle persone con disabilità specie più grave e nel percorso che le conduce verso una piena inclusione.

Parto dalla considerazione, da alcune considerazioni di carattere internazionale che possono sembrare pletoriche o inutili alla riflessione che andremo a fare oggi, ma è per inquadrare di che cosa stiamo parlando. Le persone con disabilità secondo la statistica delle Nazioni Unite sono circa 650 milioni e le persone in condizioni di povertà sul nostro pianeta sono il 50% delle persone con disabilità. Ovviamente questo dipende da tanti fattori, malattie non curate, dalle guerre, la mancanza di acqua e cibo e via discorrendo. La relazione disabilità/povertà non è una relazione che attiene solo ai paesi in via di sviluppo, ma attiene a tutto l'Occidente: i disabili sono esclusi dal mondo del lavoro per un pregiudizio della loro capacità produttiva oppure, qualora non in grado, sono inclusi in percorsi assistenziali che tendenzialmente li escludono dal mondo ordinario, dalle relazioni ordinarie e quindi anche dalle tecnologie. Un ricercatore inglese scomparso di recente ha fatto un'analisi in Inghilterra sui fattori di rischio della povertà e l'ha concentrata sulla disabilità. La situazione della Gran Bretagna in termini socio-economici viene spesso paragonata a quella del nostro Paese. Il risultato, per dare un dato oggettivo, è che le famiglie che hanno una persona con disabilità al loro interno hanno un rischio di povertà maggiorato del 240% rispetto alle altre famiglie. Abbiamo un modello medico prevalente questo significa che la stragrande maggioranza degli interventi e delle risorse impegnate nel nostro Paese, come in larga parte del mondo occidentale, sono interventi di carattere sanitario, medico, clinico, è dominante la condizione della patologia, della malattia, persone con disabilità, lo stesso ICF, la Classificazione internazionale sul funzionamento e sulla disabilità, è utilizzato da larga parte del mondo medico semplicemente per capire e conoscere gli effetti e le condizioni di disabilità e di malattia, danno sulla vita delle persone e non certo per comprendere la vita delle persone. Da qui sono arrivati nuovi studi sull'esigenza di trasporti accessibili, mobilità, di tecnologie o quant'altro. Il vero lavoro su cui ci si deve concentrare secondo appunto la classificazione, l'ICF e l'Organizzazione Mondiale della sanità ecc., è la partecipazione nella vita della comunità in cui la persona vive. Ovviamente questo ha un paradigma fondamentale che è quello dell'accesso alla ricchezza, accesso alla ricchezza significa, allo stato attuale, secondo teorici come Rifkin, l'accesso alla conoscenza e alle reti. Siamo in un'epoca basata sull'economia della relazione e quindi il digital divide è sostanzialmente ciò che divide e separa le diverse condizioni di potenziale crescita delle persone nel mondo. Ovviamente il digital divide è richiamato sempre e comunque nella differenza tra paesi poveri e paesi ricchi. Ma ha anche un'altra trasversalità che è quella ovviamente di tutte le persone che non sono dotate di tutte le abilità possibili, di chi non ha la velocità e la rapidità di acquisizione delle informazioni, in sostanza le tecnologie rischiano di essere disponibilità fasce di età e di popolazione del pianeta comprese tra i 20 e i 40 anni di quelle che negli Stati Uniti definirebbero gli wosp, cioè bianchi, provenienti dalla classe borghese, senza alcuna disabilità ecc. Da qui deriva la valutazione, l'importanza di tecnologie che vengono fatte in ampia parte del dibattito che c'è intorno alla disabilità, la stessa Unione Europea l'ha messa tra i 4 punti centrali di sviluppo delle politiche comunitarie in materia di disabilità. Per capire il modo col quale si approccia tutto il sistema attorno all'accesso, all'accessibilità, alla possibilità di avere accesso alle tecnologie come chiunque altro, in realtà ci richiamiamo a concetti un po' più complessi. Teorie economiche tendenzialmente definiscono le strategie di investimento dei Paesi, delle comunità economiche e imprenditoriali. La teoria della giustizia di John Rawls del 1970 è una di queste basi e non a caso John Rawls nella teoria della giustizia porta ad esempio le persone con disabilità. Quello che dice John Rawls è che le persone devono essere messe in grado di negoziare autonomamente e lo sono nel momento in cui possono spendere, possono diventare consumatori e produttori di ricchezza. Questo non tiene conto, ovviamente questa è la critica che viene fatta da altri economisti come Amartya Sen, non tiene conto del fatto che tutti non sono in grado ex ante di negoziare la propria capacità, la propria partecipazione, i propri diritti. Questo perché ci sono persone che partono con uno svantaggio socioeconomico e quindi ritorniamo alla relazione disabilita/povertà e perché ci sono persone con disabilità intellettive-relazionali che non sono in grado evidentemente negoziare autonomamente. In questo si innesca la ragione per la quale Amartya Sen ha preso un premio Nobel qualche anno fa, ovvero aver teorizzato che le persone devono essere valutate attraverso un sistema intraducibile in italiano che si chiama quello delle capabilities, capacità e abilità, per valutare le persone attraverso le capacità, mettere le persone in condizione di sviluppare le proprie potenzialità e tutto questo deve diventare, secondo Amartya Sen, un sistema misurabile in economia tanto quanto il valore della produzione, il valore della produttività e tanto quanto il valore patrimoniale. Questa è la caratteristica innovativa. Tutto ciò si fonda sui diritti umani, sulla strategia dei diritti umani. Il modello è quello di uno sviluppo coeso e inclusivo, significa un modello da praticare non da gettare in faccia agli altri come uno strumento conflittuale, da praticare nella quotidianità, significa garantire e non discriminazione e pari opportunità, cosa che in questo Paese noi abbiamo già in teoria garantito con l'art. 3 della Costituzione e dalla recente legge 167, l'obiettivo è quello di generare capacità negli individui di autodeterminarsi il più possibile. La strategia dei diritti umani è che ogni vita vada tutelata, che ogni vita deve avere la dignità di vita e quindi deve essere piena. Questo equivale a dirsi che il protagonismo è degli individui e che corrisponde alla consapevolezza e alla presa di possesso su di sé. Ovviamente questo ci pone il problema della disabilità intellettiva e relazionale e su questo, a livello internazionale, significa restituire protagonismo alle famiglie, alla loro capacità di saper agire per il bene del proprio figlio. E facendo un'attenzione a questo particolare aspetto, non si può pensare che le famiglie possano mettere al mondo dei figli nel momento in cui sono dei disabili bisogna andare a valutare un DNA particolare della famiglia. No, è la famiglia che deve essere messa nelle condizioni di agire per il bene del proprio figlio il più possibile.

La convenzione sui diritti umani approvata il 25 agosto di quest'anno, in via di approvazione dalla commissione doc, in via di approvazione all'attuale assemblea generale delle Nazioni Unite, speriamo entro Natale se no purtroppo slitterà al 2007, prevede alcune cose su questa strategia dei diritti umani.

Anzitutto fa una netta separazione, avrei voluto che ci fosse Francesco Bottiglieri per raccontarle, tra il diritto alla salute e il diritto all'abilitazione. Sono due concetti separati fra loro e perché questo? Perché il primo attiene alla salvaguardia della salute, al benessere relativo alla salute, il secondo attiene alle capabilities, esattamente al percorso, al processo di acquisizione di capacità e non certo quello di ripristino di una funzione, quale è quella della riabilitazione, il concetto della riabilitazione oggi nel nostro Paese. 

Il terzo elemento in cui entrano in gioco le cose di cui parliamo oggi, è quello che vengano distribuite negli ambiti coerenti, quindi nell'ambito educativo, nell'ambito del lavoro, nell'ambito dell'accesso ai beni e servizi e quindi in quello che viene definito mean streaming. In sostanza l'elemento di forza per riuscire a restituire alle persone capacità di discrimine e capacità di orientarsi alle persone/famiglie, a seconda delle condizioni, attorno alle tecnologie è che vi sia un sistema di mediazione che lavori sull'abilitazione. Ogni cittadino è in grado di scegliersi autonomamente il mercato della frutta e il prodotto che vuole acquistare e nel momento in cui quel prodotto non è valido, cambiare prodotto oppure cambiare venditore. Così non è quando ragioniamo di strumenti e di tecnologie specifiche e quando ragioniamo in disabilità per cui è indispensabile che vi sia una riflessione su che cos'è il sistema di abilitazione e su come interagisce, non tanto col sistema sanitario, ma col processo educativo, col processo formativo e di inclusione occupazionale. Su come interagisce col mercato della tecnologia, con il più ampio spettro di produzione di beni e servizi che sono determinanti per l'accesso alla ricchezza che dicevamo prima. Quindi è indispensabile ragionare sui nuovi modelli, su modelli che si sono sviluppati, su come consolidarli, su quali percorsi possono condurre a generare reti e opportunità. Questo è l'altro elemento, è quello della rete, di costruzione di reti effettive in grado di riconoscersi e che quindi è un modello che nasce in ambito riabilitativo, sia riconosciuto dal sistema educativo e da quello dell'impiego, da quello della produzione dei beni e servizi, insomma di come tutto questo riesca a integrarsi in maniera sempre più forte, sempre più presente.

Allora, è chiaro che gli argomenti possono essere molteplici in questo seminario, quello che interessa, è chiaro, è quello di sviluppare le strategie, delle politiche che possano comprendere quali sono gli interventi che la collettività garantisce per le persone con disabilità e qual è la finalità di questi interventi. E' chiaro che devono avere delle caratteristiche: quella dell'esigibilità perché laddove un servizio, una prestazione non è esigibile inevitabilmente diventa un privilegio per pochi. E se il problema dell'accesso alle tecnologie è già un accesso limitato, ha già delle limitazioni per come è costruito, per come è modellizzato, se poi dopo gli strumenti, servizi devono metterle a disposizione, la facilitazione all'accesso alle tecnologie è ancora più limitato, è ancora più discrezionale, è evidente che restringiamo il campo in maniera sempre più importante. 

L'altro elemento importante è quello di politiche di agevolazioni nell'acquisizione delle tecnologie che possano evidentemente rispondere ai bisogni e non come nell'attuale condizione di cui stavo parlando poc'anzi in cui vengono concessi senza limiti e soprattutto spesso non centrando l'obiettivo. In sostanza la centralità dei servizi e dei modelli che si vanno a sviluppare in un ambito non medicalizzato, quindi non centrato sull'aspetto clinico della faccenda ma centrato sul percorso di abilitazione, di recupero delle capacità di ogni individuo, deve avere però un altro elemento di chiarezza che, a livello internazionale, è definito all'interno della convenzione sui diritti umani tanto quanto di documenti che risalgono agli anni '70 come quello sulla cumunity based riabilitation, la riabilitazione su base comunitaria, cioè che i servizi hanno una valenza di facilitazione, non sono il fine, sono il mezzo e che il fine è quello della restituzione del protagonismo delle persone nel loro contesto e nella loro vita quotidiana che significa anche assunzione di responsabilità nella fase immediatamente successiva. Questi fronti ovviamente amplificano l'esigenza di trasferire e di ampliare il percorso dall'ambito riabilitativo a quello educativo e verso l'occupazione delle persone con disabilità all'interno dei normali, ordinari luoghi di lavoro. Questo come introduzione di larga massima comporta evidentemente anche una decisione molto chiara: non si parlerà qui di legge Stanca. L'oggetto del nostro seminario è quali sono le modalità per accedere a un pieno utilizzo delle tecnologie per la restituzione di un protagonismo attraverso la capacitazione delle persone con disabilità.

(Testo non rivisto dal relatore)

 

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