Laboratorio
Linee guida per l'integrazione dei disabili in azienda - da obbligo a risorsa: 5 anni di crescita

 

Silvia De Aloe - Psicologa del lavoro

Dal Diversity management al ... Management


Buon pomeriggio a tutti quanti, sono, come ha annunciato Roberto Campi, una psicologa e lavoro dal 99 fianco a fianco con Asphi con mio grande piacere e onore e divertimento.

Nel corso di questa esperienza che mi ha portato ad occuparmi di selezione, bilancio di competenze, orientamento di persone con disabilità, ma anche forse dell'aspetto più interessante e più gratificante che è la progettazione di interventi, mi è capitato di interfacciarmi molto spesso con una modalità diffusa di approcciare la questione dell'integrazione delle persone disabili, cioè quella del partire dalle buone prassi. Siccome sono convinta sostenitrice del fatto che non ci sia in realtà niente di più concreto di una teoria e che anche dove ci sono delle prassi in realtà una qualche teoria c'è, è che non ce la diciamo, ho ritenuto oggi di voler ragionare con voi, riflettere con voi su quelle che sono le modalità con cui in genere si pensa, la più diffusa forse, all'integrazione, valorizzazione, riqualificazione delle persone con disabilità che è quella del diversity management. Rispetto a questa dizione, immediatamente compaiono, se ci facciamo delle domande, delle difficoltà. Gestione delle diversità, o almeno così si può tradurre, le domande che si affacciano sono cosa rende diversa una persona, cioè rispetto a cosa è diversa, in base a cosa ritengo che la diversità di quella persona necessiti di uno specifico management, su quante diversità devo diventare esperto per essere un buon diversity management. Insomma, devo diventare esperto di ciechi, di sordi, di ipovedenti, di ipoacusici, di paraplegici, di problemi psichiatrici, di difficoltà cognitive, ma anche di dislessici, di chi ha la pelle nera, di transessuali, di omosessuali, di donne, di giovani, di donne giovani, di anziani, di donne incinte, di madri, di single, vedete, una lunghissima lista e poteva continuare ancora. Siamo di fronte a quella che rischia di essere una parcellizzazione estrema, al punto da diventare abbastanza insensata come modalità di approccio. Tutto questo, tra l'altro, mentre l'OMS, nella Classificazione internazionale del funzionamento disabilità e salute, ci dice che ognuno di noi in realtà può essere valutato, la sua efficienza può essere valutata sulla base di queste 4 aree: quella delle proprie funzioni corporee, delle proprie strutture anatomiche, ma in un modo assolutamente rivoluzionario, anche delle attività e partecipazione a cui è chiamato e anche dell'ambiente, del contesto socioculturale, degli aspetti tecnologici che ha a disposizione. Quindi l'ICF in realtà, che è il prodotto delle teorie che l'OMS promuove in termini di salute e di benessere, non individua diversità, l'ICF non parla di diversità. Nemmeno salti di categoria tra questo diverso e quell'altro diverso, ma differenze tra le persone come prodotto dell'interazione tra le 4 aree che abbiamo visto prima. Quindi il problema in cui rischiamo di cadere, a partire dal concetto di diversity management, è quello di guardare il dito invece della luna, cioè l'uso del concetto di diversità rischia di rendere statico ed oggettivo quello che invece è il prodotto di un'interazione tra un contesto specifico e delle persone specifiche. Se noi pensiamo anche etimologicamente al termine "diverso" significa che va in opposta direzione, esiste il termine diverso in italiano se pensiamo a differenze non esiste il termine "il differente" quindi anche linguisticamente parlare di diversità significa creare delle categorie rigide, oggettive che rischiano di staticizzare qualcosa che statico non è perché è prodotto di interazione. Quindi possiamo dire che in realtà sono certi contesti sociali che rendono "diverso" tutto ciò che risulta "novus", cioè perturbante, strano, per l'organizzazione, per le regole, per gli obiettivi di quel contesto e quindi diventa indispensabile chiedersi quali forme organizzative e gestionali creano il Diverso, di quali paradigmi organizzativi è figlio il concetto di Diversity management. E qui c'è una citazione di Italo Calvino che dice: "Per molto tempo il sig. Palomar si è sforzato di raggiungere un'impassibilità ed un distacco tali per cui ciò che conta è solo la serena armonia delle linee del disegno: tutte le lacerazioni e contorsioni e compressioni che la realtà umana deve subire per identificarsi al modello dovevano essere considerati accidenti momentanei e irrilevanti. Ma se per un istante egli smetteva di fissare l'armoniosa figura geometrica disegnata nel cielo dei modelli ideali, gli saltava agli occhi un paesaggio umano in cui le mostruosità e i disastri non erano affatto spariti e le linee del disegno apparivano deformate e contorte." La seconda citazione che vi riassumo è quella di un economista che, già un bel po' di anni fa, diceva che "Nel XIX secolo si sviluppò, fino ad un livello stravagante, il criterio che possiamo chiamare del tornaconto finanziario, come test per valutare l'opportunità di intraprendere un'iniziativa di natura sia privata che pubblica. Ogni manifestazione vitale fu trasformata in una sorta di parodia dell'incubo contabile. Invece di utilizzare l'immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, si crearono i bassifondi e si pensò che fosse giusto e ragionevole farlo, perché questi, secondo i criteri dell'impresa privata, "fruttavano", mentre la città delle meraviglie sarebbe stata una follia che avrebbe, nell'imbecille linguaggio di stile finanziario, ipotecato il futuro. La stessa regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa oggi ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Probabilmente saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno nessun dividendo." (J. M. Keynes)

Qui mi viene in mente ciò di cui ha parlato poco fa il professore, il fatto che si parli di uno scenario futuro, magari molto futuro, in cui quello a cui si fa riferimento forse è la città ideale non l'immediato tornaconto economico. E questo è il modello organizzativo a cui fanno riferimento queste due citazioni che è quello di tipo meccanicistico caratterizzato da una metafora degli ingranaggi dove c'è un'estrema attenzione al prodotto finale, dove l'esito è causalisticamente determinato dalle caratteristiche intrinseche degli ingranaggi e dal mantenimento di rigide divisioni e interazioni tra gli elementi del meccanismo. In termini poi di modello organizzativo si rispecchia questa metafora del meccanismo in una struttura di tipo verticale/gerarchico, in accentramento di responsabilità, in sistemi di attività focalizzati sul prodotto e la produttività, nel fatto di ritenere patrimonio principale dell'organizzazione quello tecnologico, nella divisione rigida dei lavori e definizione accurata delle mansioni e delle discrezionalità del lavoratore e come prassi ha fondamentalmente quella del controllo. Questa è la forma organizzativa in cui si genera la realtà del "diverso" poiché ogni deviazione, anche minima, dalle modalità organizzative previste, comporta ripercussioni sull'intero sistema e conseguenze quasi sempre negative sulla sua efficienza ed efficacia. Se qualcosa non si adatta agli ingranaggi, l'ingranaggio non gira. Non vi insegno assolutamente nulla, è sotto gli occhi di tutti quello che è successo e che ha creato poi un vero e proprio cambiamento di paradigma nelle organizzazioni puntare sui prodotti e sulle tecnologie in un'epoca di incertezze e di rapidissimi cambiamenti, è puntare su qualcosa che oggi vale, domani è obsoleto. Le organizzazioni iniziano quindi a puntare non più sul prodotto ma sul servizio al cliente e sul proprio patrimonio di conoscenze e competenze. Questo è il modello della organizzazione come conoscenza, come organizzazione di conoscenze. Si impone quindi un nuovo paradigma organizzativo per la gestione di una realtà che diventa estremamente complessa. I meccanismi non bastano più, la gerarchia non basta più, c'è un cliente che cambia le proprie esigenze costantemente e rispetto al quale vanno costruite tutte le modalità organizzative. Tra l'altro, in termini economici si impongono delle nuove teorie di cui avrete sicuramente sentito parlare, cioè sono quelle che non legano lo sviluppo umano all'idea di ricchezza come pura crescita economica, ma le teorie della capability quelle dell'indiano Amartya Sen, premio Nobel, secondo il quale al centro dell'analisi economica sta l'idea di benessere e di qualità della vita, non in astratto, ma in riferimento alle condizioni reali di vita delle persone in riferimento alla possibilità di perseguire e scegliere una vita che si considera di valore. Questo richiamo ovviamente poggia su un'idea di giustizia sociale che mette al centro la persona situata, attenzione alla parola situata, non la persona in astratto, la persona situata in uno specifico contesto e che assume, come vera e propria categoria euristica, cioè che muove la ricerca, che muove le organizzazioni, il dato della differenza riferita all'identità, alle condizioni ambientali e culturali, alla distribuzione dei ruoli sociali e familiari. Parlare di differenza, per fare il giochino dell'etimologia, significa parlare di qualcosa che viene portato da un posto in un altro quindi significa già precorrere già dalla parola stessa un'idea di condivisione. In questo senso ci si richiama all'attivazione e alla responsabilità della persona ma anche l'attivazione e la responsabilità delle reti sociali che si devono costruire ed organizzare sulla base dell'obiettivo della capability. La differenza e la complessità vengono quindi assunte come base dell'azione pubblica. 

E questo è il modello organizzativo che ne consegue che è un modello organizzativo di tipo processuale secondo la metafora della co-costruzione. Questo è un disegno che conoscerete di Escher in cui non si capisce chi inizia prima, un continuo circolo di perfezionamento perché più una mano disegna bene l'altra, più l'altra disegna bene la prima che disegnerà bene l'altra e così via. L'esito di questo processo di co-costruzione non è legato quindi alle caratteristiche intrinseche degli elementi che lo compongono, come prima era legato alle ghiere che giravano, ma al contrario il processo costruisce se stesso e arricchisce, ogni volta che viene percorso, il prodotto finale. E il prodotto finale non è mai lo stesso, perché sulla base di questa impostazione per processi il prodotto finale è in continuo miglioramento. E' un assunto del lavoro per processi. 

All'interno di questa forma organizzativa le differenze vengono considerate ovviamente non problemi da gestire, ma il motore del processo stesso. Quindi un processo è tanto più efficiente ed efficace quanto più si presta ad incontrare e a rispondere a nuove esigenze, fornendo il cosiddetto "valore aggiunto" al prodotto finale. Quindi la qualità viene definita qualità totale non è la qualità del prodotto finale, è la qualità anche del processo che consente di arrivare al prodotto finale. 

Il modello organizzativo che ne consegue prevede una struttura a rete, a network e una caduta della divisione tra interno ed esterno dell'azienda, perché dove c'è una rete c'è un'interazione fra organizzazioni. C'è un decentramento delle responsabilità, sistemi di attività focalizzati sui processi e sulle esigenze del cliente che è cliente interno ed esterno, si punta sul patrimonio aziendale di conoscenze e vi è un coinvolgimento del lavoratore in una relazione di fiducia e una valorizzazione delle sue competenze trasversali visto che è una knowledge organization fondamentalmente. Quindi questo prevede un fondamentale passaggio cioè dal diversity mangement inteso come gestione delle caratteristiche della persona che non si adattano al meccanismo, a capability mangement cioè gestione delle capacità e delle potenzialità del processo. E questa è l'impostazione che nel lavoro che Asphi propone viene fatta, cioè quella di favorire e facilitare la diffusione di modalità di gestione dei processi che prevedano, che consentano, che garantiscano ma anzi considerino una modalità di continuo miglioramento dell'organizzazione stessa, il fatto che ci possano essere inserite nell'azienda persone con differenze. Questa esperienza, questo modello che Asphi ha maturato è stato poi convogliato all'interno di uno strumento che asphi ha creato nel corso di questi mesi che è uno strumento di diffusione all'interno delle aziende, degli enti, di modalità gestionali delle persone con disabilità. 

E' una piattaforma di formazione rivolta alle aree risorse umane, ma anche ai responsabili diretti di persone con disabilità che è nata proprio da una rilevazione dei bisogni e delle esigenze dei responsabili diretti. Questo lavoro è nato proprio dal confronto tra l'altro con chi ha portato avanti il progetto Linee Guida e quindi intende essere uno strumento che parte proprio da una specie di gioco di ruolo: le persone vengono messe in condizione di ripercorrere delle situazioni tipiche del processo di inserimento o di reinserimento o di riqualificazione di una persona con invalidità con una particolare attenzione non tanto alle caratteristiche della persona quanto proprio a come si sviluppa il processo. Quindi le situazioni sono state individuate alcune situazioni che possono essere di maggiore interesse per es. il colloquio di selezione, l'inserimento di quelli che si chiamano i disabili molto abili cioè è in carrozzina ma sa fare tutto, è superlaureato e quindi si pretende da lui qualcosa a partire dal pregiudizio positivo in questo caso piuttosto che negativo. L'accessibilità dell'ambiente di lavoro, la sicurezza sul posto di lavoro, la comunicazione delle informazioni inerenti le persone, un'acquisizione di una disabilità: gli incidenti sul lavoro possono rappresentare un momento di difficilissima gestione rispetto alla reintegrazione in azienda della persona. L'integrazione e la riqualificazione delle persone, l'inserimento tramite progetto, e facciamo riferimento a persone che magari hanno delle difficoltà di carattere psichiatrico, delle difficoltà di carattere cognitivo, il problema molto grosso della privacy, il problema della valutazione come altro nodo critico del processo di gestione delle persone con disabilità in rapporto ad altre rispetto alle loro competenze e le loro abilità. Per ognuna di queste situazioni viene descritto lo scenario iniziale e la persona che accede a questo corso di formazione viene chiamata a svolgere il proprio ruolo, a porsi delle domande e poi scegliere tra quali possono essere le modalità migliori per gestire la situazione. Sono state anche inserite le faccine, come vedete, dove il selezionatore in questo caso, la persona con disabilità, il capo del personale dicono la loro sulla situazione e sulle conseguenze di certe decisioni, sulle difficoltà che la situazione può creare. Questo si ripete per ogni situazione presa in esame; per ognuna delle situazioni sono presenti degli approfondimenti che ancora una volta sono approfondimenti che hanno un'intenzione non di spiegarvi com'è fatta la persona con la disabilità psichica, ma di dare degli spunti per una miglior gestione dei processi di integrazione lavorativa. E' uno strumento che è in continua modifica, sia perché prevede la possibilità di farsi inviare aspetti problematici, ma soprattutto di discuterli e trasformarli in situazioni che poi andranno a implementare, ad arricchire il processo formativo, ma si ha anche perché consente di avere invece delle risposte dirette rispetto a situazioni di difficoltà nel processo di gestione del personale, facendo riferimento ai cosiddetti tutor ai quali si possono inviare domande, proposte, consigli e quant'altro. 

Vi ringrazio. 

 

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